Luigi D. CAPRA più che un consulente, un amico



Breve storia di Industria 4.0.


Nell’ambito di Industria 4.0 sino ad ora non si registrano grandi invenzioni (come il LASER al transistor o al microprocessore) che da un giorno all’altro hanno reso possibili cose che prima non si potevano fare (no disruptive technologies).
I primi esperimenti di fabbricazione additiva risalgono agli anni ‘80, così come l’idea di cloud computing, ecc.
Le stampanti LASER ad alta velocità dei centri EDP degli anni ‘80, accessibili in rete per mezzi di cavi Ethernet 10MBs, possedevano già molte delle caratteristiche che oggi si attribuiscono ai Cyber-Physical System (CPS).
Analogamente le “stazioni di rete” proposte da 3Com in quegli stessi anni anticipavano il concetto di cloud computing, con la differenza che per accedere alle risorse (memoria su disco, unità di stampa, modem, ecc) bisognava far riferimento a server accessibili in rete locale (LAN) mentre ora sono delocalizzate su scala plantaria grazie a Internet.
Persino la butler interface, cioè la possibilità di interagire con il computer o lo smart-phone impartendo dei comandi vocali in linguaggio naturale può essere fatta risalire a J.C.R. Licklieder[1][2] che la propose sul finire degli anni ‘50!
Forse l’unico elemento realmente innovativo presente nel paradigma Industry 4.0 è costituito dal concetto di “memoria di prodotto” che effettivamente prima non esisteva.
Quelle che vengono considerate le tecnologie abilitanti di Industria 4.0 hanno continuato ad evolvere indipendentemente sino alla fine degli anni ‘90 quando si è cominciato a parlare di Internet of Things (IoT)[3].
Volendo attualizzare quanto già era stato fatto nell’ambito delle reti locali (LAN) degli anni’80, ci si rese conto che non si sarebbe potuto connettere ad Internet tutte le stampanti poiché il numero dei dispositivi interessati avrebbe presto superato il totale degli indirizzi Internet allora disponibili. Da ciò emerse l’esigenza di ampliare lo spazio di indirizzamento passando dal protocollo IPv4 all’IPv6.
Data questa premessa, molte aziende o anche singoli ricercatori cominciarono a cercare di immaginare come si sarebbe potuta utilizzare questa messe di indirizzi, proponendo dei modelli computazionali capaci di trarne vantaggio (vedi ad es. Ubiquitous Computing).
Contemporaneamente in ambito telefonico, dove si stava lavorando al passaggio dal 3G al 4G, apparve presto evidente che per sfruttare pienamente le possibilità offerte dai nuovi standard sarebbe stato necessario integrare nel telefonino tutte le capacità di un piccolo PC; in particolare per quanto concerne le capacità grafiche e la possibilità di accedere e navigare in Internet utilizzando i protocolli nativi anziché il WAP.
Inutile dire che il concetto di smart-phone si presta molto bene ad esemplificare il concetto di Ubiquitous Computing.
All’interno del range avente per estremi le due applicazioni ricordate (stampanti dotate di connettività Internet e smart-phone) non è difficile immaginare una serie possibilità intermedie, fra cui il ricorso ai protocolli Internet, cioè in primo luogo a TCP/IP, per mettere in rete le stazioni di lavoro presenti all’interno degli impianti produttivi (smart-factory).
Nel caso specifico il punto essenziale della proposta è costituito dall’impiego dei protocolli Internet invece dei tradizionali protocolli di comunicazione industriale poiché gli obiettivi di Industry 4.0 sono ben più ambiziosi di quanto gli SCADA consentono di fare.
L’implementazione di un paradigma orientato alla personalizzazione di massa implica una pluralità di scambi di informazione fra l’ambiente di fabbrica, il progetto, la forza vendita e gli acquirenti/utenti, difficilmente prevedibile in termini di qualità e quantità, che pertanto non può essere fatto rientrare nelle rigide costrizioni cui sono soggetti i bus di campo industriali.
Tali considerazioni portarono, attorno al 2006, alla formulazione del concetto di Cyber-Physical System (CPS). A questo proposito si osservi che: sebbene la paternità del termine venga normalmente attribuita a Helen Gill della NSF, questa signora non ha in alcun modo inventato il concetto di CPS che esisteva già prima (semplicemente non aveva un nome).
L’evoluzione dei CPS, al pari delle altre tecnologie 4.0, ha seguito, è sta tutt’ora seguendo, il percorso naturale che avrebbe comunque avuto anche se non si fosse mai sentito parlare di Industrie 4.0. Come in effetti accade negli Stati Uniti, dove questo filone di sviluppi viene fatto rientrare nell’ambito delle applicazioni di Internet of Things. Si osservi che la maggior parte dei concetti presentati in precedenza.
In Europa le cose sono andate un po’ diversamente perché ad un certo punto, sul finire del primo decennio di questo secolo, in Germania ci si è messi a pensare a come si sarebbe potuto sovvertire il trend che registrava una progressiva perdita di competitività da parte di quelli che erano sempre stati definiti i paesi industrializzati.
Tali considerazioni portarono ad evidenziare la necessità di passare da un’economia basata sulla produzione di massa di beni standard (in cui evidentemente risultano avvantaggiati quei paesi che possono produrre ad un prezzo più basso potendo contare su di un minor costo del lavoro), ad un modello produttivo che privilegiasse il soddisfacimento dei desideri dei singoli acquirenti.
Chiaramente la suddetta trasformazione presuppone un interscambio di informazioni fra produttore e acquirente in fase di definizione delle specifiche del prodotto ben maggiore di quanto avveniva in precedenza, cosa che implica una certa contiguità fra il cliente e il produttore, a tutto vantaggio delle aziende radicate sul territorio.
Non solo, il rapporto instaurato idealmente potrebbe continuare anche dopo la consegna del bene al cliente, aprendo molteplici possibilità di fornitura di beni e di servizi (assistenza remota, manutenzione preventiva, invio di pubblicità mirata, impiego dei dati raccolti contenuti nella memoria di prodotto per la definizione delle specifiche di nuovi prodotti o per il progetto di campagne di marketing, ecc.), contribuendo alla fidelizzazione del cliente.
Passando dalla teoria alla pratica, i tedeschi osservarono che poiché la loro industria era particolarmente forte nell’ambito della produzione di soluzioni di automazione industriale (produzione di PLC e simili), si sarebbe potuto intraprendere un piano di adeguamento dell’offerta in previsione degli scenari che si sarebbero potuti presentare in seguito al passaggio al nuovo paradigma produttivo, cioè a  Industrie 4.0. Il progetto fu presentato nel famoso articolo di Kagermann, Lukas e Wahlster, Industrie 4.0: Mit dem Internet der Dinge auf dem Weg zur 4. industriellen Revolution.
Fatto sta che l’idea piacque, tanto che il governo tedesco se ne fece promotore e poi l’Unione Europea seguita dagli stati membri, fra cui l’Italia.

Passando dagli sviluppi tecnologici e da quando concerne la formulazione dell’idea di Industria 4.0 alle iniziative aventi lo scopo di promuoverla, la storia diventa “fumosa” e a tratti si corre il rischio di scadere nelle polemiche.
Ad onor del vero, mi pare che i tedeschi si siano sempre comportati in maniera limpida e corretta indicando chiaramente i loro propositi e le loro intenzioni. Propositi che sono stati recepiti altrettanto chiaramente dall’Unione Europea e dal nostro Governo (come si può verificare consultando i documenti concernenti  Industry 4.0 o Industria 4.0 presenti sui siti della UE o del MISE, rispettivamente).
La confusione presente in Italia è, a mio avviso, riconducibile ai messaggi talvolta fuorvianti diffusi da certi produttori di prodotti per l’automazione, che mirano essenzialmente a promuovere la vendita delle loro soluzioni.
Il quadro è ulteriormente complicato dall’avvicendarsi dei nomi delle iniziative che si sono susseguite in ambito nazionale. In un quinquennio siamo passati da: Fabbrica Intelligente del MIUR e Fabbrica del Futuro del CIPE al Piano Nazionale Industria 4.0, ai Dih, con la prospettiva di approdare alla Platform of the Platforms.
Se è vero che le suddette iniziative presentano molti punti in comune, tanto da essere innegabile una certa continuità, è altrettanto evidente che il richiamo alle smart-factory presente nel termine Fabbrica 4.0 che è qualcosa di ben diverso e più riduttivo rispetto a Industria 4.0 che si pone obbiettivi assi più ampi.
[1] - D.
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